Il problema della pastorizzazione nel succo di mangostano: come risolverlo?
Lo sviluppo ed il mondo globale, nonostante abbiano un indubbio rovescio della medaglia, portano con se’ sempre qualcosa di straordinario: solo un centinaio di anni fa ad esempio, praticamente nessuno nel mondo occidentale aveva accesso alle bacche di acai, di goji, o conosceva il tè rooibos.
Gli esploratori trascorrevano mesi viaggiando, sfidando i banditi e le dure condizioni metereologi che per tornare dagli antichi commerci delle spezie con alimenti preziosi e sconosciuti. Oggi invece, il potere nutrizionale incredibile di questi supercibi può essere consegnato direttamente a casa nostra in una scatola di cartone. E ‘veramente sorprendente!
Uno dei superfrutti più incredibili del mondo è proprio il mangostano, non per niente è chiamato la “Regina della Frutta”.
Questo come sappiamo grazie alla sua abbondanza di xantoni, che offrono sostegno immunitario, aiutano nella risposta del corpo agli stati infiammatori, e mantengono in salute il sistema cardiovascolare.
Il problema è che non sempre il succo di mangostano, venduto in bottiglia, riesce a mantenere inalterate le proprietà degli xantoni. Questo perché i processi di pastorizzazione della bevanda provocano shock termici, necessari per conservare il prodotto, ma che inevitabilmente diminuiscono l’efficacia del frutto.
Più alto è il calore infatti, più gli xantoni (così come gli altri nutrienti contenuti nel mangostano) vengono distrutti. I più potenti fitonutrienti, si scopre, sono anche i più vulnerabili al calore. Sono fragili.
Quindi, se si desidera beneficiare al massimo di tutte le sostanze e dei fitonutrienti contenuti nel frutto del mangostano, è necessario scovare una maniera per evitare di trattare il frutto con agenti chimici, e trovare una fonte che non sia stata sottoposta ad alti livelli di calore, come quelli che si ottengono con la pastorizzazione.
Approvigiornarsi del frutto qui in Italia è quasi impossibile: il mangostano è ancora poco conosciuto, non conviene importarlo fresco, e sui banchi del mercato è praticamente assente.
Dovremmo cercarlo in una forma che non sia innanzitutto coltivata senza pesticidi chimici, a base di frutto intero (comprese le sementi e la cotenna), ed essiccata a temperature molto basse, in modo tale che sia qualificato come un cibo crudo, o per usare un inglesismo, come “raw food”.
Negli Stati Uniti ad esempio, i frutti interi sono polverizzati ed essiccati in un processo a bassa temperatura, producendo una polvere nutrizionalmente intatta, che riesce a conservare un’alta percentuale di xantoni poiché non è mai stata esposta a calore elevato.
Una quantità molto piccola di questa polvere mangostano riesce dunque a fornire tutti i fitonutrienti miracolosi per il nostro organismo. Già, ma poi come la assumeremmo? Si potrebbe ad esempio utilizzarne un cucchiaino in un qualsiasi frullato di frutta per ottenere xantoni intatti e altri nutrienti.
La differenza rispetto al succo di mangostano pastorizzato è evidente: un po’ come la differenza che c’è tra un‘insalata fresca e cruda rispetto a verdure cotte, bollite o stufate.
I principi nutritivi , con la cottura, si perdono.
Dovremmo dunque –anche qui in Italia – trovare la maniera, se non di approvvigionarci del frutto fresco, almeno di scovarne il suo corrispondente essiccato.