Agnello a Pasqua, il suo significato
Molti, secondo la tradizione cristiana, hanno l’abitudine di mangiare agnello il giorno di Pasqua. Questo animale rappresenta il simbolo della risurrezione di Gesù Cristo, o almeno questo è quello che crediamo. Ormai questa usanza è seguita a prescindere dalle credenze religiose. Ma da dove deriva? Chi furono i primi ad introdurre la carne d’agnello tra i piatti tipici del giorno della Pasqua?
L’origine dell’agnello pasquale
Il rituale di mangiare l’agnello a Pasqua risale alla tradizione ebraica. Secondo quanto scritto nel dodicesimo capitolo del Libro dell’Esodo, Mosè organizzò la fuga del suo popolo dall’Egitto e tutti gli ebrei uccisero un agnello, ne consumarono la carne in piedi, pronti per la partenza, e segnarono con il sangue dell’animale le porte delle abitazioni. In questo modo avrebbero salvato i loro primogeniti dalla decima piaga, quella che vide morire i primi figli degli Egiziani, compreso quello del Faraone che, solo così si convinse a lasciar andare via gli israeliti. Con il versetto 11 dell’Esodo 12 Mosè istituisce la Pasqua: “Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione, lo celebrerete come un rito perenne”.
Oggi la celebrazione della Pasqua ebraica si svolge in modo molto simile a come si faceva duemila anni fa. In tavola sono vietati i cibi lievitati, e per questo si mangia esclusivamente il pane azzimo, come prescritto da Mosè. Vengono, però, serviti altri cibi carichi di significato simbolico: le erbe amare che ricordano la sofferenza del popolo ebraico, le erbe rosse, un uovo che simboleggia il lutto e la salsa charoseth, usata dagli schiavi ebrei in Egitto e, appunto, l’agnello arrostito intero. Non a caso in ebraico la Pasqua è chiamata pesah, che significa appunto agnello. Ecco, quindi, che torna l’uso di questa carne per celebrare una delle feste religiose più importanti e sentite.
Alcuni, però, fanno risalire la tradizione dell’agnello pasquale ad un periodo storico molto antecedente alla nascita dell’ebraismo. In realtà, le origini della pasqua fondano le proprie radici nella tradizione pagana, con la quale i pastori celebravano l’inizio del nuovo anno, nella notte che precedeva la partenza per i pascoli estivi. Durante le ore notturne venivano sacrificati i primi nati del gregge il cui sangue veniva impiegato a scopo apotropaico e propiziatorio per proteggere pastori e greggi da influenze demoniache e assicurare la fecondità. La carne, invece, veniva consumata in un pasto cultuale che aveva lo scopo di rinsaldare i vincoli di parentela della famiglia e della tribù. Un’usanza pagana reimpiegata nella credenza religiosa prima ebraica e poi cristiana.
Se la Pasqua ebraica fu voluta da Mosè, quella cristiana fu istituita dall’imperatore Costantino I nel 325 d.C. con il Concilio di Nicea. Costantino si ad affrontare un serio problema, la faida tra la scuola di pensiero che faceva capo ad Ario, che considerava Cristo come umano, e la scuola classica di Alessandria, che invece premeva perché Cristo fosse ritenuto di natura divina. Costantino vide nel Cristianesimo un nuovo strumento per tenere in piedi l’Impero. In tutto l’Impero doveva diffondersi il pensiero dominante che tutti gli umani erano fratelli, come insegnava proprio il Cristianesimo. Ecco, quindi, che nel Consiglio di Nicea fu stabilita la natura divina di Cristo ed istituì la celebrazione della Pasqua. Le feste, l’imperatore lo sapeva bene, erano un modo per sedurre il popolo.
Inizialmente Costantino non condivideva la tradizione giudaica e, per questa ragione, pere che, almeno all’inizio, l’uso di mangiare agnello venne scoraggiato. Fu poi introdotto solo successivamente. Il rito dell’agnello fu il risultato di interessi politici e sociali, unire riti cristiani e romani creando un legame tra i due popoli. Ecco, quindi, che il consumo di agnello, se incoraggiato sicuramente neppure mai osteggiato dal Cristianesimo diventato religione ufficiale, si diffuse per motivi di “affari”. Ma oggi le cose stanno ancora così? Benedetto XVI, nell’Omelia tenuta il 5 aprile 2007 in San Giovanni in Laterano, afferma, riferendosi a Cristo: “Egli però ha celebrato la Pasqua con i suoi discepoli probabilmente secondo il calendario di Qumran, quindi almeno un giorno prima –l’ha celebrata senza agnello, come la comunità di Qumran, che non riconosceva il tempio di Erode ed era in attesa del nuovo tempio. Gesù dunque ha celebrato la Pasqua senza agnello – no, non senza agnello: in luogo dell’agnello ha donato se stesso, il suo corpo e il suo sangue. “
E l’omelia continua: “San Giovanni Crisostomo, nelle sue catechesi eucaristiche ha scritto una volta: Che cosa stai dicendo, Mosè? Il sangue di un agnello purifica gli uomini? Li salva dalla morte? Come può il sangue di un animale purificare gli uomini, salvare gli uomini, avere potere contro la morte? Di fatto – continua il Crisostomo – l’agnello poteva costituire solo un gesto simbolico e quindi l’espressione dell’attesa e della speranza in Qualcuno che sarebbe stato in grado di compiere ciò di cui il sacrificio di un animale non era capace. Gesù celebrò la Pasqua senza agnello e senza tempio e, tuttavia, non senza agnello e senza tempio. Egli stesso era l’Agnello atteso, quello vero, come aveva preannunciato Giovanni Battista all’inizio del ministero pubblico di Gesù: “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!” (Gv 1,29). Ed è Egli stesso il vero tempio, il tempio vivente, nel quale abita Dio e nel quale noi possiamo incontrare Dio ed adorarlo. Il suo sangue, l’amore di Colui che è insieme Figlio di Dio e vero uomo, uno di noi, quel sangue può salvare. Il suo amore, quell’amore in cui Egli si dona liberamente per noi, è ciò che ci salva. Il gesto nostalgico, in qualche modo privo di efficacia, che era l’immolazione dell’innocente ed immacolato agnello, ha trovato risposta in Colui che per noi è diventato insieme Agnello e Tempio.”
Pare, quindi, che Ratzinger non solo chiarisce che Cristo non seguì il rituale ebreo di mangiare agnello, ma definisce “nostalgico e privo di efficacia” il sacrificio dell’animale. Idea, ormai, condivisa da molti. Ecco, allora che mangiare un agnello non solamente è inutile, ma tende a sminuire l’importanza assoluta del sacrificio di Cristo, il vero agnello sacrificale. Possiamo dire, però, che Ratzinger sembra prendere ispirazione dalle parole di Origene di Alessandria, uno dei principali scrittori e teologi cristiani dei primi secoli. Origene, così come Ratzinger, invitava i cristiani a cibarsi del vero agnello, ovvero Cristo, compiendo il vero rito della Pasqua. La questione spinosa del consumo dell’agnello come simbolo del rituale pasquale, è da tempo oggetto di dibattiti e discussioni.
Se ne parlava già nell’incontro di Laodicea, nel 165 D.C. In questa occasione, tutti i padri della giovane Chiesa cristiana si trovarono concordi nell’abolire il sacrificio dell’agnello pasquale, poiché tale sacrificio altri non era che una prefigurazione della Passione di Cristo e che, ora che il vero sacrificio era stato compiuto, l’immolazione dell’agnello perdeva tutto il suo significato simbolico. Altra voce che si staglia contro il consumo dell’agnello è quella di Giovanni Paolo Tasini, che nel suo scritto Fondamenti veterotestamentari dell’eucarestia, spiega come mangiare agnello a Pasqua sia “quasi blasfemo”: “Anche oggi la Pasqua è un rito, ha mantenuto tutto quello che poteva mantenere della Pasqua, ma che cosa manca oggi? Manca l’agnello, perché manca il Tempio; non si può prendere l’agnello e metterlo in tavola, perché l’agnello che si mangia per la Pasqua è un agnello offerto a Dio, consacrato, non è semplicemente un agnello… Sono cambiate parecchie cose, sarebbe quasi blasfemo usare un agnello, viene apposta sostituito da altre cose che, proprio perché sono un sostituto, fanno emergere che l’agnello non c’è, non c’è il Tempio, non c’è l’altare…”
Ecco, quindi, che entra in gioco anche gli animalisti che si oppongo ad una barbarie che viene condannata anche dai capi di quella chiesa che prima considerava il rito dell’agnello pasquale parte integrante della tradizione cristiana. Ma la questione pare non sia ancora risolta. Basti pensare che ancora oggi, il 60% degli ovini macellati in Italia, vengono uccisi proprio nel periodo di Pasqua. E se parliamo di agnelli il numero sale a circa 3 milioni e mezzo l’anno solo nel nostro Paese. Senza contare che in vita viene loro vietato di brucare erba per far mantenere la carne più buona, questo li costringe a trascorrere la loro breve vita rinchiusi. Un trattamento davvero poco cristiano, senza scendere nel dettaglio della macellazione che arriva a diventare una vera e proprio mattanza. Assodato che ormai non è più un rituale considerato cristiano, quello che bisognerebbe sradicare è l’usanza culinaria ormai consolidata da secoli di tradizione. Probabilmente, fare questo risulterà ancora più difficile.